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IL PROGETTO DI RESTAURO. Dall'analisi all'intervento
Trento, 27 - 28 OTTOBRE 2000

Atti del seminario

Con il patrocinio di:


PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Assessorato all'Istruzione, Formazione Professionale e Cultura
Assessorato all'Urbanistica, Fonti energetiche e Riforme Istituzionali
Servizio Beni Culturali - Ufficio Beni Monumentali ed Architettonici e Ufficio Beni Archeologici

COMUNE DI TRENTO
Servizio Restauri e Ristrutturazione Edilizia


ORDINE DEGLI ARCHITETTI PROVINCIA DI TRENTO


ORDINE DEGLI INGEGNERI PROVINCIA DI TRENTO


Dopo i seminari su "Dalla conoscenza al restauro: stratigrafia, dissesto, degrado" (1996) ed "Archeologia dei Centri Storici: analisi, conoscenza a conservazione" (1998), la Sezione di Trento dell'Associazione culturale "Ricerche e Fortificazioni Altomedievali" promuove nelle giornate del 27 - 28 ottobre 2000 un incontro dal titolo "Il progetto di restauro architettonico. Dall'analisi all'intervento".

L'iniziativa, rivolta ad architetti, archeologi dell'architettura storica, ingegneri, tecnici ed amministratori, si propone di contribuire alla conoscenza dei problemi specifici inerenti la conservazione dei Beni Monumentali e Culturali, sollecitando un confronto tra le esperienze recenti nel campo. In due giornate si articoleranno dodici lezioni tenute da docenti universitari, ricercatori, funzionari dell'amministrazione pubblica, professionisti.

Il dibattito italiano sulla determinazione dei criteri di intervento sulle preesistenze si caratterizza per la presenza di diversi orientamenti metodologici. Se la cultura del restauro, infatti, registra genericamente un accordo nell'identificare lo "scopo" della disciplina nel garantire l'integrità delle "testimonianze materiali aventi valore di civiltà", quando ci si interroga sui criteri di scelta dei beni da tramandare al futuro e sui riferimenti per definire tale "integrità", così come sulle modalità d'intervento, si scopre l’esistenza di differenze significative sul significato stesso attribuito ad alcuni concetti cardine, fra questi quello di “conservazione”.

È possibile, infatti, riconoscere nell'attuale dibattito un pluralismo di posizioni, ossia una varietà di riferimenti concettuali e di conseguenti indirizzi operativi, riconducibili nel loro insieme anche ad un conflitto di posizioni sui fini stessi del restauro; conflitto presente sia a livello della definizione della natura delle azioni da svolgere sulle preesistenze sia a livello dell’individuazione dei caratteri distintivi delle singole opere.

I temi oggetto di discussione sono molti, complessi ed interrelati fra loro. Ad esempio, il problema della legittimità o meno della "rimozione delle aggiunte" e della "reintegrazione delle lacune", affrontato facendo riferimento al problema dei "valori" e quindi alla questione teorica del rapporto con la storia, con l'estetica e con l'etica. Si pensi alla riflessione sull'ampliamento del concetto di monumento e delle categorie di valori connessi agli apporti della cultura materiale, alla questione della distinzione fra opere d’arte o di semplice uso, alla presa di coscienza delle variazioni moderne del significato della storia e all'aspirazione alla definizione di un metodo oggettivo e logico di intervento sulla preesistenza. Oppure la riflessione sugli "elementi di caratterizzazione della disciplina", ossia la ricerca sull' "oggetto" e sui "fini" che definiscono un possibile statuto disciplinare del restauro, le modalità specifiche dell’operare, distinte da quelle proprie di altre discipline come quelle storiche o compositive.

Il Seminario “Il progetto di restauro architettonico. Dall’analisi all’intervento” si inserisce all’interno di questo dibattito proponendo una riflessione su un tema centrale per la disciplina, ossia la questione della relazione fra la fase della conoscenza del manufatto e quella dell’azione diretta sulla preesistenza. Questione per nulla scontata nella sua declinazione, in quanto un aspetto che contribuisce a definire la diversità di orientamenti sulla definizione dei criteri di intervento sulla preesistenza risiede proprio nel modo di affrontare tale relazione. Se si registra, infatti, un generale accordo sulla necessità di approfondite conoscenze del manufatto preliminari all’intervento, lo stesso accordo non vale quando si entra nel merito dell’individuazione delle modalità di ricerca e di valutazione dei caratteri distintivi dell’opera. Il che significa affrontare la complessa relazione fra “conoscenza” come riconoscimento di “valori” ed intervento come attualizzazione dei valori riconosciuti; oppure fra “conoscenza” come ricerca e decifrazione del “dato” ed intervento come permanenza dei molti possibili saperi che l’opera come testo e come documento racchiude. Si tratta di un questione centrale perché dal modo di condurla dipendono, pur nelle sfumature e nei molteplici distinguo, alcune diversità teoriche che caratterizzano il dibattito sulla "conservazione" dell'esistente, sul rapporto fra ricerca della compiutezza ed accettazione della frammentarietà.

A questo proposito, gli interventi presenti al seminario consentono uno sguardo con diversi punti di osservazione a partire dalla proposta di alcuni “quesiti” di restauro.

Si fa riferimento, ad esempio, a manufatti caratterizzati da una complessa stratificazione di apporti materici legati alle diverse fasi di trasformazione nel tempo, manufatti che rimandano al tema della “selezione” e quindi alla relazione fra analisi ed intervento svolta all’interno della scelta dello strato o degli strati da mantenere leggibili e delle azioni necessarie per la “fruizione estetica” dell’opera; ma anche alla questione – a livello della fase analitica – delle modalità di studio della stratificazione per decifrarne il senso, modalità che possono coinvolgere esse stesse il delicato problema della “selezione”.

Accanto a questo, il quesito relativo all’adeguamento dell’edilizia storica alle rinnovate esigenze funzionali ed impiantistiche, tema che implica una non semplice ricerca per individuare le possibili forme di dialogo fra l’istanza della conservazione della complessità dell’architettura riconosciuta nell’insieme degli apporti materici che l’hanno caratterizzata nel tempo e l’istanza di una condizione di “abitabilità” che risponda agli attuali standard di vita.

Altro quesito proposto dal Seminario, riguarda gli interventi di consolidamento degli edifici. Da alcuni casi presentati, si rileva una particolare attenzione verso la conoscenza della storia di costruzione e di trasformazione degli edifici riconoscibile dalle tracce materiali stratificatesi nel tempo come fonte significativa per comprendere i meccanismi di danno propri degli edifici stessi; a tale conoscenza si legano le possibili risposte di progetto al di fuori di qualsiasi generalizzazione.

Nella diversità dei contributi che hanno caratterizzato il Seminario, emerge una sottile linea rossa che evidenzia una predisposizione ad affrontare la questione della conoscenza come “ascolto” attento ed umile dell’architettura del passato, come “esposizione” alla complessità delle cose, alla loro infinita ricchezza e pluralità, come assunzione di una condizione di “porosità” nei confronti delle cose stesse per cercare di cogliere negli edifici, negli ambienti, nel luoghi quel qualcosa di inafferrabile ed indefinito, ma intimamente sentito. Si tratta di un atteggiamento che rimanda ad un pensare l’intervento sulla preesistenza al di fuori di una volontà di autoriferimento rappresentativo del soggetto nei confronti delle cose stesse per imparare l’ “esposizione” alle cose piuttosto che l’”imposizione”.

Walter Benjamin aveva detto che “il vero modo per renderci presenti le cose è di rappresentarcele nel nostro spazio (e non di rappresentare noi nel loro) […]. È questo in verità (vale a dire: quando riesce) il caso anche della vista di grandi cose del passato - cattedrale di Chartres, tempio di Paestum - accogliere loro nel nostro spazio. Non siamo noi a trasferirci in loro, ma loro ad entrare nella nostra vita”.

Il guadagno speculativo di questo atteggiamento porta a riconosce al fare minimo, discreto, una particolare creatività che può spingersi al limite del “non fare”, al “lasciar essere”, come evidenza della sua massima capacità espressiva.

È un sottile linea rossa che rimane come particolarmente significativa e forte nel suo “silenzio”; una linea rossa che dovrebbe essere ripresa più incisivamente nel confronto disciplinare, soprattutto in un momento in cui sembra che la “nuova architettura” per “costruire sul costruito” debba avvalersi per “essere” di segni comunque forti, formalmente incisivi.


Arch. Alessandra Quendolo

Atti del seminario

 

 

 


   
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